“Si allentano le restrizioni, ma il sistema sanitario è pronto ad accusare il colpo?”.
Se lo chiede chi il Covid lo ha vissuto ed ha visto con i propri occhi le difficoltà che medici e infermieri riscontrano nel portare avanti un pronto soccorso, come quello di Macerata, che si è trasformato in un girone dantesco.

Non una critica a coloro che da un anno vengono definiti “angeli ed eroi” anzi. Il cittadino in questa storia vorrebbe portare il loro disagio sotto i riflettori, affinchè non si continui a discutere solo delle chiusure ingiuste, del coprifuoco e delle restrizioni, ma anche e soprattutto di quanto potrebbe aggravarsi la situazione ospedaliera.
A raccontare la sua storia, unita alla preoccupazione per ciò che potrebbe succedere dopo le riaperture stabilite dal 26 aprile, è colui che per ovvi motivi chiameremo con un nome di fantasia, Giovanni.

“Io ho avuto il Covid a fine febbraio – dice – e sono stato ricoverato al Covid Hospital di Civitanova per più di un mese. Ho potuto vedere con i miei occhi la sensibilità e la passione di medici e infermieri. Dopo essere stato dimesso i primi di aprile, ho avuto una ricaduta nei giorni scorsi e mi sono rivolto al 118 che mi ha trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Macerata. È stato in quel posto che ho compreso la reale difficoltà degli operatori sanitari: pochi e allo stremo delle forze. Ho atteso una giornata intera in una stanza, senza bere né mangiare, come accade nel pronto soccorso. Una lunga attesa dovuta alle procedure lente richieste dai protocolli Covid e per i quali servirebbe più personale. Al pronto soccorso non si rivolgono solo i presunti contagiati, ma anche pazienti con altre patologie: tutti hanno bisogno del tampone e devono attendere l’esito che arriva dopo ore e ore.

Il problema – dice Giovanni – non dipende da medici e infermieri, ma dal loro numero esiguo rispetto alla mole di pazienti che si rivolge al pronto soccorso”.

Giovanni è stato rimandato a casa la sera stessa: “La dottoressa ha chiamato mia figlia  dicendo che la mia polmonite si era riacutizzata e che potrò curarla a casa con l’antibiotico.
Dopo avermi dato i documenti necessari per l’uscita, mi hanno detto di potermene andare una volta finita la flebo, ma nel frattempo gli infermieri hanno cambiato il turno. Nessuno si è ricordato di venire a controllare il termine della terapia. Ho chiamato a lungo qualcuno che venisse a togliermi la flebo. Questo è sintomo di un sistema che non funziona – conclude – e viene naturale chiedersi come andrà a finire se le riaperture porteranno ad un aumento di contagi. Non so se riuscirà ad accusare il colpo”.

Quella di Giovanni è la storia di tanti altri cittadini che nell’ultimo anno si sono trovati in quel girone dantesco. Molti hanno deciso di tenere per sé quella triste esperienza; altri hanno pensato, nello sconforto e nella rabbia per la malattia, che la colpa fosse degli operatori sanitari; altri ancora, come Giovanni, hanno deciso di dar voce al disagio di “angeli ed eroi”, perché dietro la sofferenza di qualcuno c’è sempre chi cerca di alleviare quel dolore come meglio può. Medici ed infermieri lo stanno facendo.

Giulia Sancricca

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